Oncinello con Benedetto.

Giovedì 23 giugno 2022 dalle ore 9:30 di giovedì 23 giugno mi sono trovato con Benedetto nel mio studio.

Davanti alla porta finestra c’è il gazebo ed abbiamo entrambi preso uno dei miei proverbiali caffè lunghi.

Dalle ore 10:00 alle ore 13:00 sono andato con Benedetto nel bosco e nella grotta di Oncinello, l’albergo lo abbiamo visitato esternamente nelle zone possibili, perché sono in corso molti lavori, ci ha accompagnato Jacopo, il braccio destro del proprietario.

La villa è stata la residenza estiva del Ministro della Guerra Stanislao Mocenni, mio avo da parte di mia nonna Giulia Mocenni, sposata con l’Avvocato Francesco Ponticelli, che ha fatto parte della Costituente.

Benedetto è un recente caro amico, con il quale condivido varie passioni: la mia fotografia artistica e professionale, che curo da una vita e la sua esperienza storica per i Bottini di Siena e l’acquedotto del Vivo.

È stata una bella mattinata immersi nella storia, che ci appassiona entrambi.

Il primo aneddoto: l’immagine mostra “Lo strallo dei poveri”, un viottolo a destra del viale che va alla Villa Oncinello, il bosco si sviluppa a sinistra ed Alessandro Mocenni vi portò dei lecci secolari da un’altra proprietà di famiglia.

“Lo strallo dei poveri” era il percorso che i poverelli facevano per andare a bussare alla porta di mio nonno l’Avvocato Francesco Ponticelli e di mia nonna Giulia Mocenni per chiedere un aiuto.

Loro davano udienza a tutti!

Il secondo aneddoto: una volta mio zio Piergiorgio Ponticelli era in studio al secondo piano della villa per studiare delle carte.

Vide entrare dall’alta finestra dello studio una scimmia, che entrò in casa.

Infatti un gruppo di scimpanzé era scappato dall’Istituto Scalo, che anche oggi è nel polo farmaceutico davanti a casa nostra, il “Villino il Cappuccino” e si era nascosto nel bosco di Oncinello!

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Sasso di San Bernardino.

Don Claudio Rosi, parroco del Santo Bernardo TolomeiSBT – ha tenuto nel marzo 2021 al Serra Club una relazione sui Santi senesi ed in particolare sulla vita e le opere di San Bernardino da Siena.

Oggi vorrebbe sapere se nel bosco o nella grotta di Oncinello c’è il sasso di San Bernardino, come risulta da un vecchio e grande libro custodito in Seminario.

1° di copertina di un vecchio e grande libro custodito in Seminario

 

Per questo siamo andati alla ricerca del sasso nel bosco, ma soprattutto nella grotta.

 

lapidi tradotte nell'articolo e statua di San Bernardino, che stava nella nicchia in alto, ora a terra rotta insieme ad altri cocci

 

“DIVO BERNARDINO/QUOD INSUBIECTO SEDILI SACRAS/AD POPULUM CONCIONES FREQUENTER … (?)/POSITUM/RESTAURATO NEL 1844”.

Nell’iscrizione sottostante si legge: “ORPHANO TU ERIS ADIUTOR/IOSEPH SEGRETI (?) HUIUS CONGR[EGATIONIS] ALUMNUS/SCULPTURAE TYRO QUOD FACERE IPSE NON POTUIT/VIVENS AERE SUO FIERI PONIQUE VOLUIT MORIENS/ANNO D[OMINI] MDCLXXXV”.

Nella prima iscrizione c’è una parola assolutamente illeggibile “habuerit”, che rende incerto il senso.

Da quanto si capisce “insubiecto sedili” significa “senza una seggiola sotto”, cioè “stando in piedi”, posizione in cui San Bernardino “frequentemente” teneva “prediche al popolo”.

Ma più probamente la parola illeggibile potrebbe essere “habebat”, che come lunghezza sarebbe più o meno equivalente.

Pare di capire che il Santo predicasse stando in piedi sul sasso.

Collocato per San Bernardino, poiché di frequente aveva tenuto (?) sacre prediche al popolo senza avere sotto di sé un sedile.

La traduzione della seconda iscrizione potrebbe essere: “Sarai di aiuto all’orfano. Giuseppe Segreti (?) alunno di questa congregazione scultore principiante, ciò che non poté fare lui stesso da vivo, volle morendo che fosse fatto e posto a sue spese nell’anno del Signore 1685”.

Traduzione ed annotazioni di Don Aldo Lettieri.

 

Mia zia, Giovanna Ponticelli, che tra poco compierà 91 anni, l’ultima zio / zia in vita, ricorda chiaramente che il Sasso non arrivò mai ad Oncinello, dove fu portato il busto di San Bernardino, che venne alloggiato nello spazio sopra le due lapidi tradotte.

Purtroppo il busto è rotto in due parti, forse di più ed è a terra insieme ad altri cocci.

 

Facendo ricerche online, ho trovato queste informazioni.

Via del Sasso di San Bernardino unisce la Lizza con Via Montanini.

Lo stradario compilato nel 1861 denominava ancora vicolo di Menicuccio l’odierna via del Sasso di San Bernardino, tramandando a perpetua memoria il nome di un illustre sconosciuto.

In età medievale era un chiasso molto angusto, che fu allargato intorno al 1820 per creare un accesso più confacente tra via dei Montanini e il Passeggio della Lizza, grazie alla demolizione di un edificio allora addossato al palazzo Forteguerri.

Con lo stradario del 1871, invece, si pensò bene di sostituire il carneade Menicuccio con il nome di una delle battaglie più importanti del Risorgimento italiano, e così la stradina venne ribattezzata via Palestro.

Fu il Podestà Fabio Bargagli Petrucci, nel 1931, a volere questa denominazione, che richiama la memoria del Santo Bernardino Albizzeschi, nato a Massa Marittima nel 1380.

Secondo la tradizione, infatti, in età giovanile San Bernardino avrebbe improvvisato il primo dei suoi celeberrimi sermoni proprio davanti all’oratorio di Sant’Onofrio, antistante alla strada, salendo su un muricciolo (il sasso per l’appunto) che era lì fuori e attirando una folla crescente.

Nel XVI secolo, a ricordo di tale episodio, fu scavata una nicchia sulla facciata dell’oratorio, dove si collocò una statua in terracotta raffigurante il Santo, poi rimossa nel 1872, in occasione dell’edificazione di palazzo Foschini e ridotta ad un busto policromo riposto all’interno della chiesa; fu allora che venne demolito anche il “sasso” da dove Bernardino avrebbe effettuato la predica.

La dedicazione alla battaglia di Palestro, invece, fu spostata come denominazione alla terza traversa di collegamento tra i viali Cavour e Mameli (o meglio viale Mazzini come si chiamava allora).

Fonte: www.sienanews.it.

 

Photo Gallery: © 2022 Giuseppe Ponticelli per G.P. Comunicazione.

 

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Il cimitero monumentale della Misericordia di Siena.

Il beato Alberto da Chiatina (Chiatina, 1135 – Colle Val d’Elsa, 17 agosto 1202) è stato un religioso italiano, considerato santo dalla pietà popolare.

Abbiamo la cappella gentilizia Ponticelli-Ferri in Sant’Alberto da Chiatina.

Lì riposano i nostri cari, tra questi:

mia moglie Faith Aigbadion detta Sonia, mio padre Lorenzo e mia madre Eloisa.

 

Io sono l’usuario in rappresentanza di tutta la famiglia Ponticelli, prima lo era mio padre.

Tra i cimiteri monumentali in Toscana, il camposanto di Siena è un vero e proprio museo dell’arte figurativa senese tra Ottocento e Novecento, con bellissime opere dal purismo al liberty, dal classicismo al romanticismo, con punte di verismo e dello stile floreale e simbolico. 
La parte più interessante è quella più antica: un grande quadrilatero con al centro un obelisco, sul quale si aprono le cappelle gentilizie con all’interno sculture ed affreschi. 
    Il cimitero monumentale è frutto di un’epoca in cui di cercava di liberare il nostro animo verso dimensioni diverse, attraverso la forza misterica della grande architettura e dell’arte figurativa, che non ritroviamo nei cimiteri moderni.

Le cappelle del cortile centrale

Una volta entrati nel Cimitero, seguite il percorso a sinistra, passando accanto alla grande statua del Cristo Risorto di Vico Consorti, e poi ad un cortiletto con il monumento ai caduti della prima guerra mondiale di Guido Bianconi.

Ben presto si arriva all’ingresso del corpo più antico del cimitero, un quadrilatero con al centro un obelisco lungo il quale si aprono le cappelle gentilizie per le quali proponiamo un percorso antiorario: quindi, appena entrati nel quadrilatero, girate a destra.

Terza cappella (famiglia Raimondi): questa cappella, ufficialmente la numero 6, presenta un imponente gruppo marmoreo dedicato a Gemma Raimondi, morta mentre era incinta di alcuni mesi, opera dello scultore Guido Bianconi (1902), uno dei primi scultori senesi ad abbracciare il simbolismo floreale proprio del Liberty. 
La figura ritrae la madre seduta sul sepolcro a simboleggiare la soglia tra il mondo reale e quello ultraterreno, il bambino fra le pieghe del manto e un mazzo di rose sul grembo, mentre sulla parete di fondo una schiera di angeli commenta l’evento con i versi del Pascoli: Anima col tuo bocciuolo. La morte non è un’aurora? Non c’è una cuna per l’amor tuo? La tomba non è una cuna?

Sesta cappella (famiglia De Metz). Qui si trova l’ Angelo della Resurrezione, ultima opera dello scultore senese Tito Sarrocchi (1894), autore tra l’altro della copia della Fonte Gaia di Jacopo della Quercia, conservsato nella gipsoteca del Complesso Museale di Santa Maria della Scala.

Nona cappella (famiglia Bandini-Piccolomini). Presenta la Riconoscenza di Tito Sarrocchi, molto delicata e realistica, e l’affresco con le Marie al sepolcro di Alessandro Franchi.

Tredicesima cappella (famiglia Venturi-Gallerani). Il Genio della morte è la prima opera di Tito Sarrocchi (1860), con quella fiaccola spenta e capovolta per rappresentare la fine della vita terrena, e la corona di cipresso, pianta sempreverde che con la sua forma slanciata siboleggia il legame con l’aldilà, che nell’insieme compongono un’opera ineccepibile dal punto di vista formale, che si richiama ai modelli classici.

Quattordicesima cappella (famiglia Chigi-Saracini). Presenta l’Angelo Musicante di Vico Consorti, inserita in una cappella stupenda e diversa dalle altre, in quanto delicatamente decorata con pavoni e tralci di vite con grappoli d’uva.

Non è una sorpresa, in quanto questa aristocratica famiglia senese era dedita alla musica ed ha lasciato alla città una ricca collezione di opere d’arte, visitabile nel loro Palazzo Chigi-Saracini, nel centro storico di Siena.

Ventunesima cappella (famiglia Ponticelli-Pallini). Presenta la figura giacente di una defunta, opera di Tito Sarrocchi. Precisazioni aggiuntive Giuseppe Ponticelli.
Alessandra Pierini vedova Pallini: 1806 – 28.10.1889. Moglie di Luigi Pallini: + 25.01.1864.

Questa è una delle nostre cappelle gentilizie, l’altra – Ponticelli-Ferri – presentata all’inizio, è in Sant’Alberto da Chiatina.

 

 

Ventiduesima cappella (famiglia Tadini-Buoninsegni). Un monumento marmoreo raffigura la Fede, la Speranza e la Carità di Tito Sarrocchi (1868), un soggetto ricorrente nella Pinacoteca Nazionale di Siena.

Venticinquesima cappella (famiglia Bichi-Ruspoli-Forteguerri). La stupenda Pietà di Giovanni Duprè (1866), è l’opera più nota dello scultore senese, premiata con il primo premio e medaglia d’oro all’esposizione internazionale di Parigi del 1827. Sembra che la Madonna stia davvero per lacrimare: “che dolore santo in quella tua Madonna che (..) aprendo su lui le materne braccia e sul capo chinandogli” il “volto, pare che dagli occhi e dalla bocca spiri l’anima com’in atto di volergli ridare vita.” (A. Conti, 1865) .

Ventiseiesima cappella (famiglia Nardi). Presenta un altorilievo in stile liberty di Guido Bianconi (1908), raffigurante l’Eternità che ricongiunge le anime divise dalla morte.

Fonte: www.siena-agriturismo.it/cimitero_monumentale.htm

 

Nel 1854 il priore Benedetto Pierini dell’Arciconfraternita della Misericordia di Grosseto mise a disposizione il terreno, e fu quindi avviata la costruzione del nuovo cimitero con progetto di Enrico Ciampoli I costi di realizzazione furono sostenuti dai membri della confraternita, con un contributo del granduca Leopoldo II in materiali da costruzione. Lo studioso Alfonso Ademollo descriveva il camposanto nel 1894 come non del tutto ancora terminato, con cappelle per sepolture di stile gotico dei primi tempi del cristianesimo, nel quale si ammirano varie opere scultorie in busti e medaglie medaglioni di lavoro forbito di scultori moderni viventi quali il Sarrocchi di Siena, il Felli di Terrarossa di Casal di Pari e di altri. In quegli anni, infatti, sempre più famiglie benestanti della città avevano scelto di decorare le proprie sepolture con sculture, o di realizzare cappelle e edicole monumentali, e nell’ambiente artistico grossetano.

Fonte: fondoambiente.it/luoghi/cimitero-monumentale-della-misericordia

 

Le seguenti immagini mi sono state fornite dall’amico Arch. Luca Merelli di Grosseto.

Mia zia Giovanna Ponticelli, mi ha detto che la sorella di Alessandra Pierini, sposa di Luigi Pallini, era la sorella di Luisa Pierini, che aveva sposato Guglielmo Ponticelli, bis-nonno di mia zia, mio tris-nonno.

 

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Albero genealogico con generazioni più recenti dei Ponticelli.

L’albero genealogico dei Ponticelli comprende 100 persone circa ed è stato redatto da Sandro, parte da Domenico del 1698.

Noi discendiamo da Stefano del ramo di Matteraia.

Il primo nostro avo certo è Pasquale del 1773.

Il 22/11/2021 avevo pubblicato un articolo del mio blog che illustrava tutte le generazioni, ma mancavano quelle più recenti, si fermava agli zii ed alla nostra famiglia di origine, il babbo, io e le sorelle, senza la mamma, Faith detta Sonia e Daniel.

L’articolo precedente.

Questo articolo prende in esame le generazione dopo i nonni paterni, Francesco e Giulia, gli zii, i loro figli ed i figli dei figli.

Per poter apprezzare e leggere le immagini, è necessario vedere questo articolo con un computer desktop collegato ad uno schermo grande.

In famiglia siamo molti.

Questa photo ritrae una parte della casa della nonna paterna Giulia Mocenni.

Inizialmente era un convento di Suore.

Poi è diventata la residenza estiva di Stanislao Mocenni, mio bisnonno, Ministro della Guerra.

Ci sono vissuti i nonni Francesco e Giulia con mio padre ed i miei zii.

Dopo è diventato un’albergo, Villa Patrizia.

Ore viene ristrutturato e ci sarà sempre un albergo.

 

 

 

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L’albero genealogico della famiglia Ponticelli.

L’albero genealogico della famiglia Ponticelli parte da Domenico del 1698, data con un punto interrogativo scritto a lapis (in alto a sinistra).

Noi discendiamo da Stefano del ramo di Matteraia (in alto a destra, scritto a lapis).

Il primo nostro avo certo è Pasquale del 1773 (seconda riga in alto a destra).

Il documento è stato scritto a mano da mia zia Caterina, chiamata “Teta”, la storica di famiglia.

Avevo avuto, proprio dalla zia Teta, un rotolo molto lungo su carta bianca, mi sembra a quadretti o forse a righe, arrotolato su un ramo di legno secco e tenuto insiemi da un nastro.

È sicuramente a Le Strillaie, a Principina a mare oppure lo ha qualche cugino.

Ho guardato questo albero genealogico con la mia zia Giovanna e ci sembra ad entrambi che ci siano delle date non certe.

Come usava un tempo, ci sono nomi che si ripetono, molto spesso veniva dato al figlio il nome del nonno.

Ho aggiunto, usando il computer, la mia discendenza, mio nonno Francesco ed i miei zii e zie, mio padre Lorenzo, le mie sorelle Agnese e Teresa.

Ho aggiunto Angiolina e due bambini, morti molto piccoli, fratello e sorella di mio nonno Francesco.

Ho aggiunto anche delle linee per collegare Giò Batta alla parte in basso a destra, ma non so come collegare all’albero genealogico la parte in basso a sinistra.

La storia di famiglia è per me di grande interesse, passione che ho avuto in eredità dalla zia Teta.

 

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L’Andrea Doria: 14 gennaio 1953.

L’Andrea Doria è stato un transatlantico italiano della Italia – Società di Navigazione, gruppo IRI – Finmare, meglio conosciuta nel mondo della navigazione internazionale come “Italian Line”. Costruito nei cantieri navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente, fu varato il 16 giugno 1951 ed iniziò, agli ordini del comandante superiore di lungo corso (CSLC) Piero Calamai, il suo viaggio inaugurale, salpando da Genova il 14 gennaio 1953.

La turbonave prese il suo nome dall’ammiraglio ligure del XVI secolo, Andrea Doria. Strutturata su 11 ponti, poteva ospitare fino a 1241 passeggeri e, quando venne varata, rappresentava uno dei motivi d’orgoglio dell’Italia, che stava allora cercando di ricostruire la propria reputazione dopo la seconda guerra mondiale. Degna erede dei transatlantici degli anni trenta quali il Rex, l’Andrea Doria era considerata la più bella nave passeggeri della flotta italiana di linea ed era apprezzata ancora più per la sicurezza e la bellezza dei suoi interni di lusso, che la facevano preferire a molti transatlantici di altre compagnie internazionali.

Il 25 luglio del 1956, mentre era diretta a New York, l’Andrea Doria fu speronata ed affondata dal mercantile svedese Stockholm della Swedish America Line al largo della costa di Nantucket (USA), in quello che fu uno dei più famosi e controversi disastri marittimi della storia.

Morirono 51 persone (5 passeggeri della Stockholm e 46 dell’Andrea Doria), per la maggior parte alloggiati nelle cabine investite dalla prua della nave svedese. Il transatlantico, con una murata completamente squarciata, si coricò su un fianco e affondò la mattina di giovedì 26 luglio 1956, alle ore 10:15, dopo 11 ore dalla collisione, davanti alle coste statunitensi. L’inclinazione della nave rese inutilizzabili metà delle lance di salvataggio, tutte quelle sul lato opposto a quello della collisione. Ciò nonostante, vi fu una sola altra vittima, oltre a quelle dovute alla collisione: in seguito al disastro del Titanic del 1912, infatti, erano state migliorate le procedure di comunicazione di emergenza e si poterono chiamare tempestivamente altre navi in soccorso; inoltre le manovre di evacuazione furono rapide ed efficaci.

L’incidente ricevette una grande copertura dai media: l’Andrea Doria fu l’ultimo grande transatlantico a naufragare prima che l’aereo si imponesse come mezzo di trasporto passeggeri per le traversate dell’oceano Atlantico, chiudendo l’epoca delle grandi navi transatlantiche.

Il relitto dell’Andrea Doria, mai recuperato, giace posato sulla murata di dritta a una profondità di 75 metri. Le esplorazioni subacquee hanno constatato come nel corso degli anni il materiale di pregio sia stato razziato da sommozzatori non autorizzati.

L’unità fu sostituita nel 1960 dalla Leonardo da Vinci, molto simile nell’aspetto, ma con alcuni accorgimenti tecnici apportati dopo l’esperienza del naufragio. Gemella dell’Andrea Doria era la Cristoforo Colombo, varata nel 1952. Entrambe le navi furono smantellate nel 1982.

L’Andrea Doria misurava 213,59 m di lunghezza fuori tutto e 27,40 m di larghezza massima al galleggiamento; aveva una stazza lorda di 29.950 tonnellate e una stazza netta di 15.788 tonnellate. La propulsione era affidata a due impianti separati di turbine a vapore, collegate a due eliche gemelle a tre pale, che permettevano alla nave di raggiungere agevolmente una velocità di crociera di 23 nodi, con una velocità massima di 26,44 nodi, raggiunta durante le prove, e una massima richiesta dal contratto di 25,3 nodi. L’Andrea Doria non era né la nave più grande al mondo né la più veloce: i due primati all’epoca andavano, rispettivamente, alla britannica RMS Queen Elizabeth della Cunard Line e alla statunitense United States della United States Line.

L’Andrea Doria puntava invece su estetica e lusso: fu la prima nave ad avere a bordo tre piscine aperte, una per ogni classe (prima, cabina e turistica) e una delle prime ad avere l’aria condizionata in tutti i locali abitati, sia dei passeggeri che dell’equipaggio. Per l’arredo della nave erano stati chiamati i migliori architetti dell’epoca, tra cui Ponti, Zoncada, Pulitzer Finali, Minoletti. A bordo erano inoltre presenti numerose opere d’arte realizzate appositamente per la nave: La leggenda d’Italia di Salvatore Fiume per la sala di soggiorno di prima classe, L’allegoria d’autunno di Felicita Frai per la sala delle feste di classe cabina, i mosaici di Lucio Fontana, le ceramiche di Fausto Melotti, gli specchi dipinti di Edina Altara nel bar di prima classe, le decorazioni di Federico Morgante e di Emanuele Luzzati per gli ambienti destinati ai bambini, la statua dell’ammiraglio Andrea Doria di Giovanni Paganin e gli arazzi di Michael Rachlis. La nave divenne ben presto un mito, tanto che Elia Kazan, in Fronte del porto, fa incrociare lo sguardo di Marlon Brando con l’Andrea Doria in approdo a una banchina di New York.

I 1241 passeggeri erano così suddivisi: 218 in prima classe, 320 in classe cabina e 703 in classe turistica.

Grazie a un investimento di oltre 1 milione di dollari dell’epoca, spesi in decori e pezzi d’arte nelle cabine e nelle sale pubbliche (inclusa la già menzionata statua dell’ammiraglio Doria a grandezza naturale), molti la consideravano la più bella nave mai varata. L’esterno della nave era anch’esso considerato molto elegante: la linea era affusolata, con l’unico fumaiolo colorato in verde, bianco e rosso come la bandiera italiana, e la sovrastruttura che digradava armoniosamente verso poppa.

Una particolarità: a bordo c’era una delle show car più estreme, disegnata a Detroit da Virgil Exner e costruita a Torino, un pezzo unico, che andò persa, la Chrysler Norseman della Ghia.

1° video – I passeggeri passavano il tempo sul ponte facendo sport, tirando al piattello di giorno e di notte danzavano e bevevano: https://youtu.be/1B_FsUwbeM0

2° video – Era luglio, mare calmo, ma dopo Gibilterra hanno incontrato la nebbia: https://youtu.be/LS9RUBs6TLE

3° video – Una sopravvissuta non voleva fare colazione, perché aveva sognato che l’Andrea Doria era affondata: https://youtu.be/C7OZgDw-kGs

4° video – Calamai è sul ponte di comando, c’era la nebbia: https://youtu.be/uQ2PnadeBOw

5° video – Anche lo Stockholm è dotato di radar, il suo punto di forza era la prua: https://youtu.be/jZBBxM-Bfbk

6° video – 7 miglia di distanza, 4 gradi sulla dritta, l’altra nave sarebbe passata ad 1 miglio di distanza: https://youtu.be/YhpDlXSleDk

7° video – Il comandante vuole incrociare l’altra nave ad una distanza maggiore, mancano 120 secondi alla fine: https://youtu.be/rUSmXIEWEhg

8° video – Il comandante vede una luce verde ed una luce rossa: https://youtu.be/0nyQ4uVTA28

9° video: – Alle navi mancano 100 secondi per completare la manovra ed evitare il contatto. https://youtu.be/l5dKHA3xsx4

10° video – Testimonianze dei sopravvissuti: lo sfregamento dura un manciata di secondi, provocando falle anche sotto la linea di galleggiamento: https://youtu.be/EV3aeq2wRQ0

11° video – Il comandante doveva cercare di far incagliare la nave sui bassi fondali: https://youtu.be/AoUZRWOCgcs

12° video – Le scialuppe del fianco di sinistra non possono essere calate in mare: https://youtu.be/fNQIIAGOkOc

13° video – I naufraghi affollano le lance di salvataggio: https://youtu.be/FakAImYDwKs

14° video – I comandanti delle navi soccorritrici riceveranno onorificenze per il loro coraggio: https://youtu.be/NM1CxKDKsEA

15° video – L’Andrea Doria è inclinata sul lato destro: https://youtu.be/NUzdo6Tla8A

16° video – I primi incontri tra sopravvissuti e parenti: https://youtu.be/D-CIAPPeTWA

 

 

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Storia della famiglia Ponticelli di cui faccio parte.

Nato da Stefano Ponticelli e Annunziata Del Punta, in una famiglia di proprietari terrieri della Maremma grossetana, il nonno paterno Francesco Ponticelli si laureò in giurisprudenza ed esercitò la professione di avvocato.

Dopo la morte del padre (1906) intraprese giovanissimo, insieme al fratello Alfredo, la trasformazione fondiaria delle loro proprietà terriere tra la Principina e Le Strillaie, favorendo la costruzione di una rete stradale, la sistemazione idraulica-agraria dei terreni e la realizzazione di una maglia di appoderamento con case coloniche e stalle: furono nove in totale i poderi costruiti e affidati ai mezzadri e l’ultimo fu inaugurato nel 1942. Nel 1927, all’interno del Grand Hotel Bastiani stipulò, insieme ad altri otto proprietari terrieri, l’atto costitutivo del Consorzio di Bonifica Grossetana.

Inizialmente iscritto al Partito Popolare Italiano – nel 1920 fu membro del Comitato provinciale di Grosseto – fu uno degli esponenti più autorevoli per la costituzione del partito della Democrazia Cristiana nelle province di Grosseto e di Siena. Nel 1946 fu deputato per la DC dell’Assemblea Costituente, ma si dimise nel mese di settembre lasciando il posto a Reginaldo Monticelli.

Dal 1954 al 1959 fu presidente del Monte dei Paschi di Siena.

Sposò mia nonna paterna Giulia Mocenni, figlia di Stanislao Mocenni, mio bisnonno paterno, Ministro della Guerra, il quale portò Garibaldi in esilio fuori da Siena.

Membro di una famiglia senese, giovanissimo intraprese la carriera militare e divenne ufficiale dell’esercito del Granducato di Toscana. Passato nel 1860 in quello italiano, si distinse nella repressione del brigantaggio nell’Italia meridionale.
Fu nominato generale il 15 dicembre 1883. Fu deputato dal 1874 al 1900 e ministro della guerra con Francesco Crispi dal 1893 al 1896. Fu lui a proporre al consiglio dei ministri l’invio di truppe in Africa per la Battaglia di Adua e dovette dimettersi con il governo Crispi IV a seguito proprio del tragico fallimento di tale impresa.

Uno dei figli di mio nonno paterno Francesco fu mio padre Lorenzo Ponticelli.

Fu Pretore a Susa, Giudice al Tribunale di Grosseto (io sono nato appunto a Grosseto), Magistrato di Cassazione a Roma, Presidente del Tribunale di Siena e Presidente di Sezione della Corte di Appello di Firenze.

Moglie di mio padre Lorenzo fu mia madre Eloisa Pierrottet.

Nata a Napoli, cresciuta in Liguria a Pietra Ligure, ha vissuto a Milano dove divenne Assistente Sociale e sposata si trasferì a Grosseto e poi a Siena.

Direttrice della Carità Diocesana di Siena, creò molte Opere Sociali tra cui la Casa Emmaus con il contributo dell’allora Banca di Monteriggioni, oggi ChiantiBanca.

Mia madre Eloisa era figlia di mio nonno materno Ottavio Pierrottet e di mia nonna Anna Accame.

Mio nonno Ottavio fu Ingegnere Navale in Liguria, ma girò mezzo mondo, andò anche in Africa.

Sono figlio primogenito di Lorenzo e di Eloisa e le mie sorelle sono Agnese e Teresa.

Io mi sono sposato con Faith Aigbadion della zona del Benin in Nigeria ed ho un figlio, Daniel Ponticelli.

Nelle immagini c’è anche mia moglie Faith Aigbadion quando visitò la mia mostra “Aqua” che esponevo nel 2002 nella Galleria “Didee” in Via Del Poggio 3 a Siena dietro al Duomo.

Sono diventato vedovo, perché mia moglie è deceduta all’età di 40 anni, 1 mese ed 1 giorno.

Io sono un professionista della comunicazione, un creativo, Art Director, fotografo di Still life ed artistico, blogger, copyright ed autore di libri: https://www.giuseppe.ponticelli.name/chi-sono-agenzia-comunicazione-siena/

 

 

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Buttero Maremmano, sfidò malaria e briganti, amò la sua mandria – targa 1855 Luigi Ponticelli.

Il mito della Maremma non è soltanto leggenda, ma anche l’aspro ricordo della Transumanza che ogni anno nel cammino dai pascoli appenninici a quelli costieri, consumava gli zoccoli delle greggi e alimentava le speranze dei giovani “biscini”, dei garzoni, dei cavallari e dei vergai, capi di questo eterogeneo gruppo di pastori e caprai che scendevano in pianura.
Un lungo viaggio che durava otto-dieci giorni e che nel 1825, a solo quindici anni, intraprese Nicola Regi, stanco della miseria della montagna, aggregandosi ad uno zio e ad un branco di pecore.
Da Motolano, sperduto gruppo di case nel comune di Sestino, in provincia di Arezzo, ai confini con le Marche e l’Emilia Romagna, giunse alla Marsiliana, la tenuta dei principi Corsini, per trasferirsi poi nell’azienda di Rispescia, di proprietà di Luigi Ponticelli, anch’esso originario del Casentino.
Qui, nei mille ettari alle porte di Grosseto, apprese i primi rudimenti del mestiere del buttero ed iniziò il suo lavoro con il bestiame brado, sino a ricoprire il ruolo di massaro.
Talmente abile con gli animali, una volta ad una mostra del bestiame a Firenze, Nicola in sella all’inseparabile Diluvio, mise in mostra le sue eccezionali capacità, bloccando inferociti tori sfuggiti dalla fiera che seminavano il terrore sulle sponde dell’Arno.
Le cronache dell’epoca riportarono questa impresa e così iniziò la leggenda del buttero di Sestino, che crebbe nell’intreccio con quella di Buffalo Bill.
Si favoleggia, che nel 1906 quando il colonnello Cody portò per la seconda volta in Italia lo spettacolo Wild West Show, durante lo spostamento da Roma a Firenze, la sua variopinta carovana sostò nei pressi della tenuta Ponticelli e qui in campo aperto si accese una sfida tra cow boy e butteri alla fine quale Buffalo Bill, battuto regalò il lazo servito per catturare vacche e cavalli, al buttero Nicola Regi, riconoscendone la superiorità.
Ma la fama di questo uomo, non finisce qui, si narra, infatti, che lo scultore Tolomeo Faccendi si sia ispirato a questa figura mitica, quando su incarico di Luigi Ponticelli, realizzò in bronzo il monumento al Buttero della Maremma, la cui copia fa bella mostra di se nella piazza della stazione di Grosseto.
Una bella pagina di storia della Transumanza raccontata dai Cavalcanti della Tradizione, che quest’anno: “Sulle orme di Nicola Regi. Il buttero con la lacciaia”, partendo dalla sua casa natale in Casentino, arriveranno dopo nove giorni di sella a Grosseto, entrando in Maremma attraverso la “calla” doganale di Paganico, punto di convergenza dove il bestiame veniva sottoposto alla conta.
Quindici cavalieri su bei Maremmanoni, una razzetta di dieci puledri scossi ed un mulo, sfileranno il 23 settembre nelle vie e nel corso del centro storico, prima di essere accolti nella piazza principale dalle autorità locali e dal sindaco casentinese per uno scambio simbolico di doni tra le due municipalità ed un ringraziamento ai cavalieri, “motori” dell’iniziativa, che hanno studiato il territorio, gli antichi percorsi, impegnandosi nella ricerca ed utilizzando come fonti non solo informazioni di archivi, ma anche racconti, storie e testimonianze, fondamentali per la trasmissione di memorie che sono il carattere di questa terra antica dalla storia millenaria.
Ambra Famiani
Tratto da: www.anamcavallomaremmano.com

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